Io, speriamo che lei quereli

Se c’era bisogno di confermare il declino culturale di una delle città che più amo al mondo, la cronaca ci offre una data, un luogo e un evento di cui oggi parlano quasi tutti i giornali. 
L’ondata di forza, allegria, intelligenza e voglia di futuro che tutti noi che c’eravamo abbiamo percepito nel 2006 si è smorzata, non velocemente ma inesorabilmente, e non è bastato il rilancio delle ristrutturazione, non è bastato l’essere stati miracolati dalla presenza di un direttore del Museo Egizio come Christian Greco, non sono bastati i ragazzi assetati di musica, non sono bastati i cuochi che hanno fatto risorgere interi quartieri, non sono bastate le librerie indipendenti che ancora vanno controvento.

Niente da fare, Torino si è richiusa, si è spenta, si è accasciata su se stessa, ha dimenticato la sua storia operaia prima, e di reinvenzione dopo la Fiat. 

Anche i ricchi sbroccano

Se oggi si parla di Torino, in tutta Italia e forse anche all’estero è per il corrispettivo di quelle che la mia madrina di battesimo chiamava “piazzate da facchini”. Solo che ha avuto per protagonisti persone ricche, che probabilmente ritengono anche di essere còlte,  e che in qualche modo hanno anche racimolato un po’ di potere. E allora, come litigano i ricchi? No, niente lividi e niente minacce, anzi, non sia mai che ci si debba rimettere qualche soldo per una questione di principio, si lascia anche aperto uno spiraglio a future collaborazioni professionali. I ricchi non gridano e non picchiano, nessuno chiama i carabinieri, tutto si fa con i toni di un verbale di CdA. La legge del 2019, la cosiddetta “codice rosso” non avrebbe nulla da eccepire: nessuno è stato sfigurato, nessuno è stato malmenato, nessuno è stato stalkerato. Non c’è un tentato femminicidio di cui parlare oggi. 

Tradire il partner non è reato

Eppure una donna è stata additata al pubblico ludibrio, perché il suo fidanzato ha ritenuto di doverle rovinare non solo la serata, ma più in generale la reputazione e l’immagine pubblica poiché doveva in qualche modo vendicarsi del di lei tradimento. Forse è questo il segnale di decadenza più chiaro, per una città la cui proverbiale riservatezza, sobrietà di modi e di azione è stata sempre un biglietto da visita, anche nei giorni di gloria delle Olimpiadi d’Inverno. Se un elemento della classe dirigente –  ma smettiamola di chiamarla così, sono solo quelli con più soldi. Da lì a dirigere, ne passa parecchio – di una città così non trova di meglio da fare che comportarsi come un bulletto di periferia e tutti i suoi invitati lo seguono a ruota, filmando il momento e diffondendolo ai quattro venti, vuol proprio dire che è finita. 

Ritroviamo la misura delle cose

Ma questo non significa che ci si debba rassegnare. Bisogna che quel che resta della società civile, quel che resta del buon senso, trovi un canale di reazione. Perché se ci si rassegna al fatto che se hai abbastanza soldi puoi massacrare metaforicamente qualcuno in pubblico, e tutta la stampa – digitale e cartacea – ti darà manforte, allora è come se ci si rassegnasse al fatto che se sei abbastanza grosso e violento allora puoi massacrare letteralmente qualcuno in privato. 

Oggi mi vergogno per Torino, e mi vergogno per il livello infimo raggiunto dal mondo della comunicazione di questo paese. Non importano le ragioni che i protagonisti possono addurre per quello che hanno fatto; lui che fa il suo discorsetto apparentemente beneducato ma nei fatti volgarissimo (“è tutto pagato”… “mi spiace per la figlia, che è una seria e brava ragazza”) e tutti i suoi ospiti che diffondono il video all’universo mondo. Lei che lo guarda basita e si guarda intorno per capire se è un incubo o è tutto vero. Tutti i mezzi di comunicazione che si buttano su quella che è e avrebbe dovuto restare una spiacevole vicenda privata. 

Ledere l’immagine e la reputazione di qualcuno è reato

Non conosco quella donna, ma so che il punto non è solo che è una donna. Il punto è che è una donna con una visibilità.

Qualche giorno fa in Gran Bretagna, a parti invertite, è successa una cosa simile. Gli sposi sono giunti all’altare ma lei ha annunciato che il matrimonio non ci sarebbe stato e ha iniziato a leggere le inequivocabili conversazioni che il suo fidanzato intratteneva, via messaggi telefonici, con un’altra donna. Gelo, lui esce dalla chiesa, fine. Parimenti orribile e parimenti segnale della smania che ormai ha travolto tutti, di voler spettacolarizzare ogni nostra vicenda, dal modo in cui ci laviamo i denti al funerale dei nostri cari. Ma in qualche modo, quella è rimasta una faccenda privata. 

Questa non può restarlo, perché lei è una donna impegnata in politica, e questo, a quarant’anni, le stroncherà la carriera. E lui lo sapeva perfettamente. Non era solo un amante ferito che parlava l’altra sera, era anche e soprattutto un ultrasessantenne che professionalmente non rischia nulla e ha deciso di sfoggiare la sua capacità distruttiva.

Ebbene, qui, credo che un reato ci sia, e dunque che dire? Senza clamori e – da qui in avanti – senza troppe uscite mediatiche, io… speriamo che lo quereli. 

 

4 risposte a “Io, speriamo che lei quereli”

  1. Carlo Barbieri dice: Rispondi

    Sono d’accordo, e aggiungo che è vero,
    non si tratta di femminicidio, ma di violenza si, e perfidamente premeditata anche nell’intenzione di divulgarla urbi et orbi, perché il maschio, nel video, ringrazia chi ha mantenuto il segreto.
    Mi sono vergognato per lui, ma mi lascia basito il fatto che sui social, senza distinzione di genere, venga considerato un “grande”.

    1. Grazie Carlo. E allora popoliamoli di voci di civiltà, proviamoci almeno.

  2. Aldo Grasselli dice: Rispondi

    Speriamo che il Vaudeville continui.
    Non mi accontento della piece con il ludibrio di una fedifraga da parte di un quasi marito cornuto (meritatamente direi) che ha pagato le vacanze e non solo quelle se come è probabile in mente sua l’esistenza della donna è un suo artificio andato male.
    Vorrei vedere entrare in scena impettiti l’avvocato e l’imprenditore.
    Potrebbe essere la trama del “Cappello di paglia di Torino”.
    Poi si va a teatro a vedere questi “influencer” che pensano di dominare i costumi con le loro piazzate.
    Ad agosto mancava qualcosa di squallido di cui parlare in questo paese meraviglioso.

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