Giulia Cecchettin non sarà l’ultima. Se fosse l’ultima avremmo vinto la guerra, mentre per ora continuiamo a perdere battaglie.
Non c’è una soluzione che possa risolvere il problema in poco tempo. Le istituzioni possono fare molto ma non possono fare in fretta. E invece qui c’è una guerra in corso, anzi per la precisione una guerra civile. E nelle guerre civili bisogna decidere, velocemente, da che parte stare, per poi passare all’azione. Alle azioni, per essere più precisi. Quotidiane, puntuali, capillari, diffuse, sfinenti.
Facciamoci caso
Bisogna dire no, assicurandosi di essere sentite: questo non si fa, questo non si dice. Questo non lo fai, questo non lo dici. La prima volta te lo dico, la seconda me ne vado. Dalla relazione, dal lavoro, da un’idea di possesso che sta solo nella tua testa, da un’idea di dipendenza che sta solo nella mia.
Ogni volta che dicono volgarità in nostra presenza, ignorandoci. Ogni volta che le fanno. Ogni volta che si comportano come se fossimo tutti maschi. Ogni volta che parlano come se parlassero solo ai maschi. E non lo fanno solo le persone comuni. Lo fanno anche le pubblicità, le comunicazioni aziendali, quelle del condominio, quelle delle parrocchie, quelle delle associazioni.
Impariamo a farci caso. Impariamo a dire, ogni volta un “come ti permetti?” che nessuno dice più.
Come ti permetti di chiamarmi continuamente, se ti ho già detto che non mi fa piacere. Come ti permetti di insinuarti nella mia giornata e magari anche nella mia nottata con messaggi che prima e oltre che un problema di disturbo sono un problema di controllo. “Dove sei?”, “cosa fai”, “con chi sei”. Non rispondiamo a domande non pertinenti. Non siamo tenute a dare continuamente informazioni.
Impicciamoci
E se siamo madri, padri, zie, zii, nonne, nonni, amici o parenti di ogni ordine e grado, impicciamoci: ascoltiamo i giovani maschi di casa, cerchiamo di capire che segnali danno, che toni prendono quando parlano con le ragazze, delle ragazze, del genere femminile. E ogni volta, ogni santa volta, interveniamo: perché se una femmina ti fa arrabbiare, ti delude, ti danneggia, commette una scorrettezza, allora le dici che è scorretta, disonesta, che non sei d’accordo, descrivi il modo in cui si è comportata anche con un insulto adeguato. Ma non le dai, automaticamente, della puttana. Perché se dai della puttana a quella che non ti ha passato il compito, a quella che non si è fermata allo Stop, a quella che ti ha fatto il bidone non venendo al cinema, stai spostando il piano da quello della realtà dei fatti a quello dei suoi comportamenti sessuali, stai decidendo che l’unica sfera alla quale agganci i suoi comportamenti, l’unica lente con cui li leggi, è quella sessuale. Che l’unica cosa che vedi, di quell’altro essere umano, è il suo ruolo sessuale. E lo fai solo con le donne e ti ergi a giudice. Come ti permetti.
Impicciamoci anche con le giovani femmine di casa: assicuriamoci che non restino impigliate in un modello che in nome di una qualche presunta superiore maturità le porti ad essere sempre quelle che “lasciano perdere”, non si impuntano, portano pazienza, capiscono. Quelle gentili, pazienti, mai aggressive, mai abbastanza fiduciose in sé stesse da seguire il proprio istinto: se qualcuno ti fa paura non è perché esageri, o perché sei pazza e nevrastenica. Se hai paura c’è un motivo e quel motivo va comunicato a se stesse e agli altri.
Un’alleanza di coscienze individuali
Siamo in guerra. Lo siamo da millenni, ma oggi lo possiamo dire. Questo è un progresso vero. Lo possiamo dire, almeno alle nostre latitudini, nelle piazze, in Parlamento, nelle scuole. Forse non sempre lo possiamo dire nelle case e nei gruppi degli amici che frequentiamo. Perché il gruppo, da sempre, inibisce il singolo, e invece questa guerra si fa se le singole coscienze trovano il modo di manifestarsi, per poi riconoscersi e allearsi.
Siamo in guerra e non dobbiamo permettere a nessuno di dimenticarlo. Perché ogni volta che ci distraiamo, uomini o donne che siamo, non importa; ogni volta che pensiamo che siano questioni che stanno al di fuori della nostra bolla, e sulle quali non possiamo avere influenza, ecco ogni volta che succede una cosa di questo tipo, un’altra vittima cade e un altro carnefice prende nota.
Non sono malati
I carnefici non sono malati, sono maleducati. La maleducazione, o la mancata educazione, è alla base di questa carneficina: maleducazione all’altro, alla coltivazione e alla gestione dei propri sentimenti, alle regole sociali, all’accettazione del rifiuto, alla accettabilità del fallimento. Maleducazione verso la percezione di sé stessi, del proprio posto nel mondo (no, non è il centro), dell’importanza delle proprie ragioni (si devono esporre, non si possono imporre).
Una guerra contro i malati sarebbe orribile e inaccettabile.
La guerra alla maleducazione è un dovere e non abbiamo un altro minuto da perdere.
Brava Cinzia, brava.
Combattiamo la maleducazione!
Grazie Filomena. Proviamoci, ogni giorno, senza mai abbassare la guardia.
pronta alla guerra!
grazie, Dede.
insieme al film della Cortellesi, sono considerazioni che andrebbero fatte girare ora, subito nelle scuole perché tra qualche giorno tutti si saranno già dimenticati…fino ad un nuovo femminicidio.
grazie
Grazie, Paola. Il film della Cortellesi può aprire voragini, miniere di preziosi confronti. Non perdiamo nessuna occasione.
Grazie Cinzia, hai ragione. È ora di dire basta. Condivido quel che hai scritto con le mie figlie.
grazie a te, Paola.
Bravissima, come sempre.
Grazie, Anna.
Grazie Cinzia. Concordo in tutto
Grazie a te, Sergio.
Sono mortificato e umiliato per quanto sta accadendo. Sono maschio e mi vergogno: sento di essere responsabile in qualche modo. Dovrebbe nascere una norma che obblighi ogni maschio a fermarsi, a cessare qualsiasi attività stia facendo (purché accada in sicurezza: non se sta guidando un autobus o operando in chirurgia, o…) per cinque minuti, immobile: concentrandosi a pensare all’accaduto. Magari potrebbe avvenire la domenica successiva all’accertamento dell’accaduto: dalle 12,00 alle 12,05.
Per esempio ieri avrebbe dovuto succedere!
Grazie Roberto. Fermarsi, per guardarsi dentro e guardarsi intorno. E’ un’ottima idea.
da “vecchio” condivido tutto e giro alle/ai nipoti
Brava e grazie
Gino
Grazie Gino, io spero che faranno meglio di noi. Non ci vuole molto, peraltro.
grazie Cinzia. Come non essere d’accordo.
Sono riflessioni da far girare nelle scuole, tra le ragazze ma anche tra i ragazzi!
Grazie, Nadia. Per me sarebbe un onore. Abbiamo solo parole per la nostra guerra. Parole e comportamenti per dare l’esempio.
Grazie Cinzia, le tue parole mi rafforzano nel proposito di aprire gli occhi sulla maleducazione, che si annida spesso nel piccolo gesto, il più insignificante, quello automatico, che tutti – uomini e donne, ragazze e ragazzi, bambini e bambine – compiamo, perché fa parte della cultura che abbiamo acquisito e che a nostra volta tramandiamo. È ora di cambiare rotta, è difficile, bisogna mettere in discussione ciò che ormai palesemente non è più sostenibile, ma che in parte – come ogni abitudine consolidata – ci rassicura. È un lavoro che chiama tutti all’azione, nessuno escluso.
Grazie per averne parlato, spero continueremo a farlo. Un abbraccio.
Grazie a te, Livia. Spero anche io che non smetteremo di parlarne quando passerà “l’ondata mediatica” sul caso di Giulia Cecchettin. Anzi, lo prometto.
Brava zia. Sono parole che dovremmo rispettare ogni giorno. Io non insulto MAI le donne, le perdono, le lusingo, mi metto davanti ad alcune in adorazione, ma non sono maleducato nei loro confronti