Chi si tuffa, chi scivola

Il duo di commentatori RAI che in diretta dal Giappone si lascia andare a commenti pecorecci e/o razzisti sulle atlete e sugli atleti in gara nei mondiali di tuffi è stato gentilmente pregato di lasciare il posto a qualcuno che innanzitutto sappia come si sta al mondo e a latere ne capisca di tuffi.

Nessuno, nello staff, li ascoltava?

Il tutto è iniziato con una Pec (posta elettronica certificata) inviata alla Rai per denunciare l’accaduto da qualcuno che protesta “come abbonato e come cittadino”, il che ci fa pensare che sia un uomo, e questa è l’unica buona notizia.

Infatti nemmeno le sanzioni riservate ai due battutisti da parete di cesso pubblico consolano, perché sono arrivate solo grazie a quella mail. Possibile che nessuno tra tutti i lavoratori e i dirigenti che concorrono a una diretta si sia accorto – in diretta – dell’infima qualità del lavoro che i due stavano portando avanti in nome e per conto della televisione pubblica?

Se protesti, sei antiquata

Noi signore lo sappiamo. Lo viviamo quotidianamente. Sedute al bar con i nostri amici maschi, dobbiamo accettare di essere intrattenute su questioni riguardanti il culo delle passanti, il fatto che questa o quella conoscente comune stia invecchiando più o meno bene (è facile, si misura a chili e rughe: più sono, meno bene si sta invecchiando, non importa se l’hanno candidata a un Nobel o ha vinto la Medaglia Fields). 

Quando proviamo a dire che questi discorsi ci disturbano, ci mettono in imbarazzo o ci fanno pensare di condividere l’aperitivo con dei perfetti imbecilli, ci rispondono che esageriamo, che siamo delle bacchettone, che sono commenti normali, che se passasse una macchina o un cane e si commentasse il loro aspetto non ci sarebbe niente di strano e quindi perché non si può commentare il corpo delle donne.

È chiaro fin qui? Le macchine, i cani. Il corpo delle donne. Le donne tout-court.

Loro invece sì che sono avanti

Non so se nelle compagnie di ventenni o trentenni succede lo stesso, io di anni ne ho quasi sessanta e quando frequento persone molto più giovani di me lo faccio ricoprendo ruoli che solitamente (e fortunatamente) sconsigliano loro un eccesso di rilassatezza.

Ma nei gruppi over 50 questa è spesso la prassi, spesso mascherata, o spacciata, per modernità. Si sentono “avanti”, certi uomini, a parlare di culi di donne con le donne, è la loro interpretazione della realizzazione delle pari opportunità (oh yes, pure i compagni non si esimono). Si sentono splendidamente evoluti quando raccontano delle loro passate conquiste descrivendone le fattezze nei dettagli, come fossimo tra compagni di caserma e – soprattutto – come se questo li dovesse rendere più interessanti agli occhi delle astanti, quasi sciorinassero il loro Curriculum Vitae, sia pure in assenza di una vacancy per cui candidarsi. 

Discorsi tra maschi?

E devo credere che un refolo di buona educazione la mantengano e quindi un poco si moderino, se ci sono donne presenti. Un poco, pochissimo.

Quando sono soli soletti tra uomini cosa succede? Succede, paradossalmente, quel che è successo l’altro giorno in diretta tv, poiché i due maestri della telecronaca si sono giustificati dicendo che pensavano di essere a microfoni spenti. Se anche fosse io modestamente chiedo: non se ne preoccupavano? Pensi che il tuo microfono sia spento mentre devi commentare una gara mondiale di tuffi e invece di occuparti di questo problema tecnico ti gingilli con battute rancide?

Il commentatore sportivo al centro dello spettacolo

In realtà quasi nessuno si beve la scusa del presunto microfono spento. Piuttosto c’è il fatto che alcuni commentatori sportivi paiono convinti di essere – proprio loro – il centro dell’attenzione e, dato che non possono essere visti, pensano di dover fare di tutto per farsi sentire: una sorta di esibizionismo della chiacchiera, che va tanto di moda anche alla radio, per cui si toccano livelli di volgarità e di insipienza impensabili fino a qualche decennio fa e serenamente tollerati, anzi incoraggiati oggi. Un microfono davanti alla bocca, le cuffie ad isolarti dal mondo, il tuo amichetto vicino che ti dà manforte e alé, inizia la gara di rutti.

I crediti deontologici richiesti dall’Ordine

Io sono una giornalista di periferia, nel senso proprio (vivo a Bra, provincia di Cuneo) e figurato (mi occupo di ambiente, di agricoltura e delle politiche relative). Ma ho un tesserino uguale a quello di tutti gli altri e degli obblighi di aggiornamento che prevedono il raggiungimento di un determinato numero di crediti. Una parte di questi crediti devono essere accumulati frequentando corsi di aggiornamento a tema deontologico. Ovvero, l’Ordine dei Giornalisti ci dice: fare giornalismo implica avere competenze che riguardano i temi di cui ci si occupa, ma implica anche sapere come ci si deve comportare proprio per il fatto di essere giornalisti: come si parla, come si descrivono le cose, con quali toni e con quali atteggiamenti; quali danni si rischia di causare se linguaggio, tono e atteggiamenti sono quelli sbagliati.  Se io non raggiungo il mio totale di crediti previsto per il triennio mi sanzionano e mi escludono – come docente – da ogni iniziativa di formazione riservata ai giornalisti.

Forse hanno solo sbagliato mestiere

A me pare che quei due signori i corsi per i crediti deontologici non li abbiano frequentati. E se li hanno frequentati non li hanno capiti. Forse bisogna attivare anche dei corsi di recupero, sono sicura che tante colleghe, con tutti i neuroni e i crediti in ordine, potrebbero trovare la pazienza necessaria.

Oppure si potrebbe risparmiare tempo, denaro ed energia spiegando a questi due – che non si sa come son finiti a commentare gare di massimo livello sulla tv pubblica – che, se guardando i mondiali di tuffi vedono solo donne poco vestite su cui esercitare la propria banalissima fantasia, così come commentando una gara di scherma vedrebbero solo donne troppo vestite, beh allora, non ci sono corsi né sanzioni che tengano, hanno banalmente sbagliato mestiere.

Commentare lo sport, è roba per professionisti. Astenersi tempestati ormonali.

 

 

Foto ITALPRESS: Elena Bertocchi e Chiara Pellacani, bronzo nel sincro in Giappone.

4 risposte a “Chi si tuffa, chi scivola”

  1. Brava Cinzia! Del tuo scritto mi piacciono sia le argomentazioni sia il tono verso quei due “inopportuni”.

  2. Grazie Cinzia. Avrei preferito lasciare un commento più articolato, ma questi miserabili, hai voglia a fare formazione, non lo meritano. La mamma degli imbecilli è sempre incinta, e la signora ci tiene a precisare che i rampolli hanno preso dal padre.

    1. Grazie Rodolfo, ma non privarci delle tue riflessioni. Loro forse non le meritano, ma a noi servono sempre!

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