Apriamo le scatole, le etichette non bastano

Scampoli di campagna elettorale, meno di 20 giorni per dire cose sensate ad un popolo affamato di tutto: cultura, vendetta, ripicca, ripresa, futuro.

Allora, cari partiti di sinistra, cari partiti che vi sentite e dichiarate di sinistra, provo a contribuire con un piccolo menu non tanto di cose che dovreste dire – certo, anche questo è importante perché in campagna elettorale bisogna parlare, possibilmente chiaro e vero – ma anche e soprattutto delle cose che dovreste capire, studiare, progettare.

Perché la mia impressione, da modesta spettatrice ed elettrice di sinistra, è che vi limitiate alle etichette delle scatole e non guardate mai cosa c’è dentro, non ci raccontate mai cosa c’è dentro.

Allora, cominciamo?

 

Aiuti a famiglie e imprese in difficoltà

Le famiglie e le imprese in difficoltà in una società giusta e saggiamente governata, non ci devono essere, nemmeno durante le emergenze. Quindi la risposta sugli aiuti di Stato non basta, è solo l’etichetta della scatola. Dentro la scatola c’è una questione importante, che si chiama Equa Distribuzione della Ricchezza.

Che da un lato significa avere un fisco che funziona e che non consente evasioni o elusioni, e dall’altro significa stabilire regole che non sdoganino l’ingiustizia già all’origine. Se un dirigente guadagna 250 volte più di uno dei dipendenti c’è qualcosa che non funziona. Ci deve essere una proporzione ragionevole tra lo stipendio più basso e quello più alto di una realtà lavorativa. Perché se i lavoratori vengono retribuiti in modo equo, nei momenti di difficoltà poi se la sanno cavare da soli. E se i ricchi non diventano ricchissimi, non avranno un potere sproporzionato sulle vite altrui, e sulle politiche che le amministrano.

Ma significa anche avere una sanità pubblica che funziona, un trasporto pubblico capillare e accessibile (con guadagno anche della qualità dell’aria, sia detto en passant). Perché le famiglie e gli imprenditori, se riescono restare in salute e andare al lavoro senza spendere dei patrimoni, sono già un bel pezzo avanti. Senza aspettare elemosine, ma semplicemente vedendo i loro diritti costituzionali rispettati.

Emergenza siccità

State attenti, quando parlate di cambiamento climatico. Perché alla domanda sul cambiamento climatico rispondete parlando di siccità. Da lì passate a parlare degli invasi. E da lì passate a parlare della necessità di ristrutturare le infrastrutture che ad oggi sprecano mediamente il 30% dell’acqua che trasportano. E dunque passate a parlare del PNRR che ha previsto fondi per riparare le tubature.

Non va bene, è un trucco.

Anche perché nel PNRR dovevano starci provvedimenti figli di un ripensamento strutturale delle modalità di produzione, mentre riparare i tubi è normalissima amministrazione.

Quando arriva la domanda sul cambiamento climatico, se proprio volete parlare di siccità, dovete ricordare che stiamo in un paese la cui agricoltura è irrigata per l’85%, e questo è il risultato dell’indirizzo industrialista che è stato dato all’agricoltura. Dovete dire che bisogna ripensare il nostro modo di produrre, il cibo e tutto il resto. “Combattere il cambiamento climatico” non può significare solo correre ai ripari (magari ancora con denaro pubblico e fondi straordinari) quando ci sono i problemi, ma bisogna fare in modo che il cambiamento stesso r a l l e n t i. Perché con questi ritmi di aumento delle temperature e del livello del mare potremo avere le tubature e gli invasi più in ordine di questo mondo, ma se dentro non arriva l’acqua saremo al punto di partenza. E se anche ci arriva l’acqua, se l’aria è oltre i 40 gradi per settimane comunque le produzioni agricole saranno danneggiate.

La guerra in Ucraina e le conseguenze sulle forniture

Le forniture energetiche sono un altro grande tema elettorale: per favore, non vi ci buttate sopra con l’ansia da prestazione, come se foste all’interrogazione finale che può salvarvi l’anno. Bisogna ragionare con calma e molte competenze sul brevissimo, breve, medio e lungo termine. Sul lunghissimo lasciate perdere, il nucleare sicuro avrà forse i primi prototipi nel 2050. Sì, prototipi. Da lì alla messa in produzione ce ne vuole ancora. Lasciate che i ricercatori ricerchino e intanto cercate di occuparvi di quello che si può già fare, senza fare danni se possibile.

Il solare non si piazza sui terreni agricoli, ci sono milioni di tetti che aspettano di essere sostituiti. Invece di buttare via i soldi e deresponsabilizzare la gente con il 110% usiamo gli spazi per il solare. L’eolico va distribuito e messo in funzione e vanno pensati anche impianti di piccola e media scala. E poi c’è l’idroelettrico, la geotermia. Insomma, sveglia, siamo indietro di trent’anni. Se decidiamo di recuperare un po’ di ritardo creiamo anche un sacco di posti di lavoro, che male non ci fanno.

Se invece parliamo delle forniture di fertilizzanti, ecco, lì non è che vi dovete affannare a cambiare fornitore. Di nuovo bisogna aprire le scatole, pensare sistemico, capire che se la nostra agricoltura è a rischio se non ci arrivano i fertilizzanti di sintesi è segno che abbiamo drogato il nostro suolo al punto che non sa più fare quel che deve fare senza un aiuto chimico. È lì, spossato e inerte, affamato di vita, e questa vita bisogna riprendere a dargliela, metterlo in condizioni di riprodurla.  

La scuola

Va bene, ci sono le aule da ristrutturare e le tecnologie da diffondere. Anche su questo il PNRR aiuterà, anche se è ancora qualcosa che andava fatto comunque, non è un’ideona collegata alla ripresa. Per la ripresa e la resilienza, invece c’è un paese da strappare all’ignoranza, all’indolenza culturale, all’analfabetismo funzionale. Aule nuove e Appennini cablati non basteranno, anche se sono assolutamente cose da fare. Quel che ci vuole è la volontà politica di risollevare una società, di guarirla dalle tante malattie che ha preso in decenni di televisione pubblica di basso livello, di linguaggio usato male, di associazioni culturali con le pezze al culo, di viaggi non fatti o non capiti, di diffidenza verso le altre culture, di lingue straniere non frequentate, di docenti senza fiducia e allievi senza speranze.

L’inquinamento del mare

Abbiamo 8mila km di coste, eppure di mare voi non parlate mai. Né voi né chi vi intervista. Ma se dovessero chiedervi conto del volume della plastica in mare che nel 2050 supererà quello delle specie ittiche che in mare vivono, anche qui, per favore, non parlate dei progetti di recupero delle reti abbandonate o di quel che farete per togliere dal mare la plastica che già c’è. Sono certamente cose importanti, ma è sempre l’etichetta di una scatola che non state aprendo. Se la aprite, dentro la scatola ci troverete la plastic tax, quella norma che ai primi accenni di emergenza Coronavirus è stata fatta sparire in chissà quale cassetto e non è più riemersa. La plastic tax è una cosa di sinistra, fatela, velocemente. Perché il danno ambientale colpisce prima i più fragili, nel mondo.

 

E se ai più fragili del mondo non ci pensa la sinistra, chi ci penserà?

 

P.S. A corollario: e se non pensa ai più fragili, la sinistra, che ci sta a fare?

 

 

Foto: Calendario 2022. Stazione Zoologica Anton Dohrn – Dall’albero di Darwin alla parata della biodiversità

2 risposte a “Apriamo le scatole, le etichette non bastano”

  1. Margherita Testa dice: Rispondi

    Concordo pienamente e mi permetto una sottolineatura.
    Per una società meno scandalosamente ingiusta e “passiva”, occorre la partecipazione dei cittadini alla società democratica: una partecipazione attiva, attenta e capace di immaginare e controllare.
    Ecco allora la priorità dell’educazione e della scuola, dello studio e della cultura per tutti, al fine di nutrire la libertà di pensiero e la creatività, di potenziare cioè le “capacità ” di ciascuno (è
    un diritto positivo).

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