Oggi celebro un mese di tempo perso, parole sprecate, telefonate inutili e problemi irrisolti.
L’entità in onore della quale levo il calice, in questo festeggiamento, è Microsoft Italia. Sì, sì, quella dei computer, dei programmi proprietari, degli abbonamenti per poterli utilizzare, dei divieti a farne copie, delle sanzioni se solo pensi di provarci.
Quando racconto ai miei allievi cosa sono i semi, per l’agricoltura sostenibile, quanta importanza abbiano nel loro essere scrigni di conoscenza, faccio proprio l’esempio del software. Lì, in quei semini, ci sono millenni di co-evoluzione, di selezione partecipata, di collaborazione tra contadini, tra generazioni di contadini, e la natura. Dico: è come il software open source, e loro mi guardano un po’ straniti perché non è che solo perché uno ha meno di 20 anni allora capisce tutto quel che riguarda l’informatica. Le cose le capisci se le studi, non se nasci mentre tutti le usano. Io sono nata mentre tutti usavano i frigoriferi, per dire, ma non saprei da dove iniziare se dovessi ripararne uno.
Ma io sono lì apposta per non farli stranire: “I programmi con cui scrivete, fate presentazioni, compilate fogli di calcolo possono essere di due tipi: ci sono quelli brevettati, che sono proprietà di qualcuno e quel qualcuno li migliora se e quando decide lui e li rimette in vendita; oppure possono essere in open source, cioè con gli accessi aperti, quindi tutti possono migliorarli, basta che poi lascino aperti i codici, così come li hanno trovati. Certo se poi con un programma di scrittura open source scrivi un romanzo, quel romanzo lo vendi, è il prodotto del tuo lavoro. Ma non ti puoi vendere, e prima ancora non puoi brevettare e dichiarare tuo, il programma di scrittura che hai modificato. La stessa cosa fanno i contadini con i semi di varietà tradizionali: i prodotti che ne ricavano li vendono, è il loro mestiere, ma non possono brevettare i semi che hanno ereditato e che magari hanno migliorato in qualche decennio di selezione”.
Certo anche l’open source ha i suoi difetti. Si evolve più lentamente, perché ha meno fondi a disposizione, a volte ha debolezze difficili da mandar via, e soprattutto non è ricevuto in tutto in mondo allo stesso modo, quindi spesso ci sono problemi di compatibilità. Per questo i professionisti che si trovano a lavorare con tanti ambienti diversi perché hanno clienti diversi (ai quali non possono imporre nulla, figuriamoci chiedere di lavorare solo in open source) a volte si rassegnano ad acquistare un pacchetto Office, per avere la sicurezza che i loro file (di Word, di Excel, di Powerpoint…) possano essere letti comodamente. Acquistare il pacchetto è semplicissimo, si fa tutto online e tutto funziona a meraviglia. Registri una carta di credito e da lì in avanti le fatture ti arrivano con una precisione che consola.
A me però, qualche settimana fa, è successo di dover cambiare computer, perché l’altro si è danneggiato in maniera irreversibile per un corto circuito.
Qui è iniziata l’avventura, perché per trasferire i programmi sul nuovo computer bisogna che io acceda al mio account Microsoft, il quale ha un sistema di doppio controllo che mi chiede di autenticarmi tramite un’app che si chiama (vedi un po’) Authenticator. Ma l’app non riconosce il mio account, mi dice che non esiste e quindi non mi fornisce il codice di controllo.
Ed eccomi a cercare l’assistenza Microsoft.
Il primo tentativo è stato con la chat che il sito di Microsoft ti propone. Ovviamente risponde un “assistente virtuale” al quale dopo mille richieste e mille ripetizioni riesco a far capire che voglio parlare con un suo “collega umano” (sì, parlano così). Il collega umano si presenta in chat, si fa spiegare tutta la vicenda e solo dopo una conversazione a forza di messaggi che dura più di mezz’ora mi svela che quella è la chat per i clienti privati, mentre io sono una cliente business. Ma mi dà il numero di telefono per chiamare l’assistenza business e gli orari in cui posso chiamare.
Siamo fuori dagli orari, quindi chiamo l’indomani.
La procedura è questa:
suona il telefono;
parte la musichina;
il messaggio registrato mi chiede se sono business o no;
poi mi dice che la conversazione potrebbe, se io accetto, essere registrata, e devo dire (schiacciando 1) se accetto;
schiaccio 1;
il messaggio registrato mi dice che la conversazione sarà registrata;
musichina;
messaggio registrato che dice che un operatore mi risponderà e nell’attesa potrebbero verifcarsi alcuni secondi di silenzio;
attendo;
arriva l’operatore o l’operatrice al telefono, che innanzitutto si scusa per l’attesa.
Attenzione: tra una qualsiasi delle fasi descritte e quella successiva può cadere inspiegabilmente la linea. Succede abbastanza regolarmente. Quando succede si ricomincia tutto da capo. Ma torniamo all’operatore/trice che si è scusata:
mi chiede qual è il problema;
glielo spiego (computer rotto, programmi da trasferire, authenticator, loop di password che non posso avere)
mi chiede l’indirizzo dell’account;
glielo dico;
mi dice: verifico, controlli la mail perché le arriva un codice e me lo deve dire;
controllo la mail, le dico il codice;
conferma che il mio account esiste ed ha proprio l’indirizzo che le ho detto io.
Bene, mi rilasso. Ora che si fa?
Ora, mi dice, le do un numero di pratica, lo riceverà con una mail.
Mail ricevuta. Che ci devo fare con il numero di pratica?
La chiamerà un tecnico entro 24 ore, e lei glielo deve dare, così lui risolve il problema.
Scusi, ma non è lei il tecnico che mi deve risolvere il problema?
No, io sono solo il front desk.
E non mi può passare il tecnico?
No, non ci sono collegamenti diretti tra noi e i tecnici. Noi passiamo i moduli compilati e poi loro vi chiamano.
E come funziona, quando chiama?
Non si sa quando chiama, ma se in quel momento lì lei è al telefono o per qualche motivo non può rispondere, poi loro non richiamano.
Ah, no? E quindi?
Le mandano una mail in cui le dicono che hanno chiamato e le lasciano un numero di telefono per richiamarli.
E non me lo potrebbe dare subito questo numero di telefono?
No, perché è quello dei tecnici. Io sono il front desk.
Mi arrendo e saluto.
Ovviamente non mi chiama nessuno, quindi riprovo dopo qualche giorno, faccio tutta la trafila e arriviamo al punto in cui mi dicono che mi chiama il tecnico entro 24 ore.
Me l’avete già detto, ma non mi hanno chiamata.
Sì, lo vedo dalla sua pratica, me ne scuso, scrivo una nota in cui dico che è la seconda volta che chiama.
Bene, grazie, saluti.
Ci riprovo
Non mi chiama nessuno, ma ci riprovo. Arrivo al punto chiave e gioco d’anticipo: “Guardi, lo so che adesso mi dice che il tecnico mi chiama entro 24 ore, ma le assicuro che poi non lo fanno”
Spero che questa volta vada meglio, dice lui, ha tutta la mia comprensione.
Sono contenta di avere la sua comprensione, ma capisce che non mi basta.
Sì lo capisco, scrivo una nota in più.
Perfetto, arrivederci.
Non chiama, di nuovo, nessuno
Niente da fare. Nessuno mi contatta. Rifaccio tutto il giro e questa volta la signorina, scorrendo la mia pratica, che deve essere ormai un inferno di solleciti, dichiarazioni, reminder, note e sottolineature, mi dice che adesso lo comunica anche ai suoi superiori.
Io, sommessamente (non è educazione, è mancanza di forze) le chiedo come devo fare – nel caso in cui nemmeno questa volta mi chiamassero – ad annullare l’abbonamento, visto che mi pare che sostanzialmente Microsoft non dia nessuna assistenza e mi sarei un po’ stufata di continuare a pagare per programmi che non uso. Mi dice che devo fare questo stesso numero e scegliere l’opzione chiusura account e poi di nuovo aspettare che mi chiamino.
Sta scherzando? le chiedo
No, dice, ma per le chiusure dell’account non ci sono queste code, la chiamano di sicuro. C’è tanta richiesta solo sui problemi tecnici di accesso all’account, come il suo, quindi se lo vuole chiudere vedrà che ci riesce.
Va bene, dico esausta. Vediamo se questa volta mi richiamano e altrimenti richiamo per chiudere l’account.
Io comunque avviso i miei superiori, mi ricorda.
Perfetto, li avvisi, grazie mille.
Ed eccomi qua. Nessuno mi ha chiamato nemmeno questa volta, e anche se le 24 ore non sono ancora passate, ho come un presentimento.
E’ passato un mese e sono esattamente al punto di partenza. Perché ovviamente non ho tutti i giorni un’ora di tempo da passare al telefono con Microsoft Italia. Non ho un’ora di tempo da passare al telefono con nessuno, per dire la verità, e questo aumenta la mia irritazione. Scelgo Microsoft Italia sacrificando altre telefonate, taglio corto con mia mamma che mi vuole raccontare le ultime prodezze della sua cagnetta, per stare al telefono con gente che mi dice che “mi comprende”. Mi intossico le vacanze di Natale, producendo maree di pensieri inutili su come le multinazionali sono riuscite a far finta di umanizzare l’assistenza, ma in realtà anche quando parliamo con i “colleghi umani” stiamo parlando con un pezzettino di automazione senza possibilità di arbitrio.
Open source, torno da te.
Tornerò, più convinta che mai, all’open source. Se non altro, quando cambi computer, c’è un sito dal quale ti puoi scaricare i programmi che ti servono e se qualcosa non funziona sai che comunque è un ambiente che non si va vendendo in giro come l’eccellenza per la quale merita pagare. Perché alla fine funziona davvero come con i semi: quelli brevettati e uniformi, se qualcosa non funziona, non sai a chi ti devi rivolgere. Se i loro prodotti saranno senza sapore, se avranno bisogno di acqua che non hai, di supporti chimici che ti costano un occhio della testa e devi sempre comunque ricomprare le versioni aggiornate perché quelle che hai tu non si adattano al clima e al terreno e dopo poco tempo sono inutilizzabili, non ci sarà niente da fare. Non ci sarà nessuno a cui telefonare, e se anche ti risponderà qualcuno sarà solo per dirti che non tocca a loro risolvere il problema, ma ti faranno richiamare da chi se ne intende.
E per tornare a noi, anche sui semi conviene disdire gli abbonamenti “pay per farm” e tornare ad avere a che fare con chi se ne intende davvero.
Ma non telefonate, andateli a trovare. Li troverete nei campi e saranno felici di vedervi.
Mi ha fatto un enorme piacere leggere questa storia di vita e, ci tengo a precisare, l’ho letta tutta, fino in fondo, parola per parola, perché oggi non è poi così scontato che uno “perda tempo “a leggere oltre le prime righe. Finalmente non mi sono sentita una persona diversa, fuori dal tempo, come invece succede quando dico ciò che penso sul mondo dei software e sulla perdita delle relazioni umane. Sono strumenti e come tali dipende dell’intelligenza dell’uomo, e non da quella artificiale, renderli un bene di comune utilità oppure trasformarli in un’arma a servizio degli obiettivi di pochi con l’apparente immagine di un progresso indispensabile alla crescita economica e sociale dell’umanità.
Grazie, Daniela, ha ragione: si progredisce insieme, tutti, o non si progredisce.
Testo esemplare, come sempre. Il caso, purtroppo, un incubo ricorrente, in mille differenti rappresentazioni. Ciao carissima, buon anno!
Purtroppo hai ragione, ci sono infinite occasioni di esasperazione, dai corrieri alle compagnie aeree. Ma di solito, alla fine del calvario, il problema si risolve. Qui niente, solo esercizio di kafkiana follia.
Brava Cinzia, ho letto con piacere la tua bella pagina imparando e apprezzando molte cose, tra le quali il ritmo che unisce tempo e parole.
Grazie! Il ritmo degli incubi…:-)
Esemplare, il testo.
Solidaire. Io con te, anche se non ti servirà a recuperare i dati.
Sul fatto che scrivi che non hai un’ora di tempo da passare al telefono con nessuno, mi azzardo a pensare cosi’ : “magari vuol dire, un’ora di tempo da sprecare, perché di ore agli altri, la Cinzia ne dedica, eccome”.
Grazie, Daniela!
è un piacere leggere pensieri filosofici che partono dalla vita concreta e si collegano alle dinamiche pazze del mondo…. vi ho conosciuto dal libro Il profitto e la cura, libro profetico ed profondamente educativo e politico… me l’ha regalato mia moglie Silvia e questa riflessione la portiamo nel cuore come chiave di lettura degli avvenimenti… la cura è fatta dei semi rurali che testimoniano comunità e futuro possibile, la cura è fatta anche dai fermenti lattici autoctoni che dichiarano l’autonomia del pastore e del beduino di fronte alle bustine di fermenti della multinazionale e alle biotecnologie illusioni dei potenti, la cura è fatta della biodiversità selvatica degli impollinatori che pensiamo di usare e gestire a nostro comodo per poi piangerne la scomparsa. Spero che un giorno ci incontreremo di persona…. vi invitiamo a farci visita nell’azienda agricola e nella fattoria didattica. IVO E SILVIA azienda agricola bogion cit
Grazie davvero. Vedo che non siamo lontani, prima o poi verrò a trovarvi!
Vi invitiamo fin da ora alla festa di inaugurazione dell’apiario didattico che faremo il 1 aprile.
Al mattino ci sarà un convegno nel grande salone comunale sui temi che sono al centro della nostra attività didattica e che sono di estrema attualità e rilevanza: agroecologia e resistenze rurali: urgenze didattiche per giovani e adulti.
Saranno invitati studenti, insegnanti e famiglie e anche amministratori e personalità locali interessate a cultura, educazione e turismo responsabile.
Ecco il programma:
al mattino il convegno dalle 10 alle 13.
Poi pranzo di Pasquetta in condivisione.
Al pomeriggio diverse possibilità di attività:
visita breve all’apiario didattico, visita alle capre, ai pascoli, al caseificio, passeggiate naturalistiche e ai luoghi fenogliani, letture fenogliane, visite guidate alla Censa, giochi, musica popolare….
Il senso del convegno e della giornata è promuovere i temi della fattoria didattica e anche dare un segnale di slancio culturale per il territorio.
Al mattino al convegno io farei da mediatore.
Con tre relatori, 20 minuti ciascuno, poi magari domande e confronto.
Inizierò Paola Migliorini dell’Università di Pollenzo per fare il punto sull’importanza dell’agroecologia come moderna materia di studio e di sintesi, che è in grado di rispondere alla complessità dei problemi dell’agricoltura, dell’ambiente e della società mondiale.
Poi Francesco Panella, redattore di Apis, sull’apicoltura biologica, sulle battaglie civiche e politiche per la tutela degli impollinatori, sul valore didattico di lavorare con gli alveari, sulla resistenza apistica…
E infine Marzia Verona, scrittrice ed esperta di pastorizia, che parlerà di capre, pascolo, piccole realtà pastorali montane, resistenza rurale e casearia, valori rurali sobri ed ecosistemici….
A fine mattinata Daniele Cerrato consigliere alla cultura in paese ed Enrico Rivella di Arpa faranno una breve presentazione dei percorsi fenogliani e naturalistici di San Benedetto Belbo.
Speriamo che possiate venire anche voi. A risentirci. ivo
A proposito di semi, Virginio Bettini, giovane laureato in geografia umana, fondatore della rivista Ecologia e per molti anni docente di ecologia allo IUAV, agli inizi degli anni “70 si recò, con il biologo ricercatore americano Barry Commoner, in Vietnam, per documentare la devastazione prodotta dalla guerra chimica. Oltre 75 milioni di litri di defoglianti, diserbanti selettivi –il famigerato agente arancio– riversati su tutto il paese. I danni, persistenti e terribili –malformazioni, tumori– continuano tuttora a manifestarsi. I due allora ragazzi scrissero insieme Ecologia e lotte sociali, pubblicato in Italia e negli USA nel 1976. A produrre l’agente arancio era la Monsanto. Terminata la guerra e diminuite le commesse militari, l’azienda chimica si dedicò ai semi transgenici e sterili, e presto anche in ogni campo della Padania apparvero i cartelli che magnificavano l’uniformità millimetrica dell’altezza del mais.
Anche diversi militari si riciclarono, fondando Blackwater, oggi rinominato Academi, che è presto diventato il maggiore esercito privato del mondo, che forma 40.000 contractor e 130.000 truppe navali ogni anno, e che ha contratti per addestramenti speciali e interventi diretti (e sporchi) nei conflitti dei cinque continenti. Academi è passato di mano e uno dei suoi maggiori azionisti (le informazioni al riguardo sono molto protette ma più fonti giornalistiche lo hanno confermato) è –chissà perché– proprio la Monsanto, la quale, anche lei parte del sistema dimensionale alimentare dei pesci, è ora di proprietà della Bayer.
Questo per dire che tutto si tiene e che le vie delle follie si dipanano per ritrovarsi insieme diretti verso i loro malefici obiettivi. Anche se è dura, i semi genuini che lasci ai tuoi studenti danno e daranno invece solo ottimi frutti. Grazie per quello che fai e per come lo fai. Per il resto purtroppo ci tocca pazientare e, con l’invadenza della IA, sarà sempre peggio. Molto peggio.
Grazie, Rodolfo.