Le signore che vanno via

Di bello c’è che alcune signore, quando vedono che non c’è altro rimedio, se ne vanno

Lo ha fatto la premier neozelandese Jacinda Ardern, qualche settimana fa,  poi la premier scozzese Nicola Sturgeon, in questi giorni. Le ragioni pare siano diverse, personali nel primo caso, collegate a un calo di consenso nel secondo. Ma resta il gesto limpido, vero, semplice.

Finché crediamo che ci sia una possibilità di portare a termine il nostro lavoro noi signore proviamo, ma se proprio non si riesce, raccogliamo le forze, il coraggio e la paura, le annodiamo bene insieme e con quel filo ci facciamo una corazza e con quella corazza ci presentiamo al mondo e diciamo: io me ne vado.

Andarsene fa paura

Lo diciamo un po’ tremando, dopo averci pensato tantissimo. Tantissimo, per i giorni, le settimane, i mesi precedenti. La sera prima di dormire, la mattina davanti al caffè, mentre ci laviamo le mani, mentre camminiamo per andare al lavoro. Pensavamo solo a quello.  Lo diciamo dopo averne discusso con le persone che amiamo e dalle quali ci sentiamo amate. Spesso, dopo averci pianto un bel po’ su, perché facciamo fatica a non chiamare “fallimento” quella roba lì che stiamo per fare.

Poi però facciamo pace anche con quella parola. E proviamo a vedere se per caso non è solo, banalmente, una fine. Tutto finisce, non è grave. Tutto, nel mondo dei viventi, arriva a fine ciclo e si trasforma, ne fa partire un altro. È lì che ci viene in soccorso un po’ di curiosità: chissà cosa succede adesso. Quale nuova forma prenderà la nostra vita, la nostra storia.

Non sempre, infatti, abbiamo in mente altri progetti. Sappiamo che non vogliamo più quella cosa lì, ma spesso non sappiamo dove appoggeremo il piede per il prossimo passo.

Prendiamo fiato e lo diciamo: me ne vado.

Torno da me

Non tutte, certo. L’attaccamento ai ruoli, alle poltrone, ai titoli è diffusissimo e trasversale al genere. Ma in politica, quando succede, sono più spesso le donne. Gli uomini – quando proprio non possono evitare di andarsene – cambiano ruolo, solitamente ottenendo posizioni più prestigiose, posizioni che non si ottengono dall’oggi al domani e quindi è chiaro che se le erano preparate prima del “gran passo”.

Noi, invece, quando ce ne andiamo è come se tornassimo da noi stesse, per guardarci negli occhi e dirci, eccomi, sono qui: ora che facciamo? Non lo so, ci rispondiamo, ma intanto stiamo meglio, ci svegliamo la mattina di buon umore, è già un bel risultato, non trovi?

La politica del tempo dedicato

E la politica? E l’impegno per un mondo migliore, e quella passione che ho usato per diventare quel che ero, che fine fa? Tutto al macero della quotidiana routine? Certo che no. Anzi. È proprio nella quotidiana routine, se finalmente impariamo a vederla con gli occhi buoni di chi si affeziona ad ogni minuto ed ogni gesto, che c’è tanta politica da fare, quella che i politici non sanno più fare.

Le nostre case, i nostri concittadini, le nostre strade, i nostri familiari e le nostre scuole di ogni ordine e grado, i nostri boschi, i nostri fiumi, le nostre montagne, i nostri mari e le nostre città hanno un bisogno disperato di politica: quella che si somministra quotidianamente, a piccolissime dosi costanti. Quella per cui occorre ripetere mille volte lo stesso concetto, ogni volta come se fosse nuovo di zecca; mille volte lo stesso gesto, mille volte lo stesso sorriso.

Prendendosi il tempo che ci vuole. Per questo, a volte, bisogna andarsene: per riprenderci il tempo di cui abbiamo bisogno.

2 risposte a “Le signore che vanno via”

  1. Sono monotona cara Cinzia .però quando ti leggo sto meglio , i pensieri fastidiosi si allontanano e sto bene . Grazie

    1. Che bel complimento, Michela. Grazie

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