Il senso di Mamoiada per la comunità

Il cielo di Mamoiada trattiene a stento la pioggia, la passeggiata sembra avere i minuti contati. Ma è domenica, c’è un dopo pranzo che richiede movimento e le vie quasi deserte sembrano il posto perfetto per provare a mettere in ordine le tante informazioni accumulate nelle ultime 24 ore.

De André chiama

I negozi sono quasi tutti chiusi, e anche quelli aperti hanno porticine così piccole che ti accorgi che sono aperti solo quando ci arrivi davanti. Nel silenzio prende forma la voce di De André. Commuove sentirlo qui, così vicini a quel Supramonte che lo aveva sequestrato. Mamoiada fa parte di quella stagione, di quel periodo duro del nostro Paese. La faida, la chiamano. Quella che ha coinvolto due famiglie per generazioni, per via, pare, di una cavalla rubata verso la fine dell’Ottocento. Le vendette si sono alternate, trascinando nel terrore interi paesi, e questo più di altri. Omicidi. Gente che accoltellava o sparava ad altra gente. Poi l’omicida scappava a nascondersi nei boschi. E le latitanze costano. Per questo servivano i sequestri. Quei boschi, quelle montagne inaccessibili nelle quali è così facile perdere l’orientamento, farsi male, incontrare animali selvatici pericolosi, hanno avuto un ruolo chiave nell’economia delle latitanze.

Oggi Mamoiada è un paese nuovo, un paese vero. Negli anni Novanta, qui, sono successe cose buone. Una comunità ha detto basta e ha isolato i violenti, iniziando a riflettere su se stessa e su quel che voleva per il proprio futuro, per i figli che stavano crescendo e ai quali i genitori non volevano far respirare le stesse paure, la stessa aria greve di violenza, lo stesso “buio”, lo chiamano così.

È successo anche che sono arrivati i telefonini. Le latitanze si complicano con le nuove tecnologie. Le intercettazioni servono. Qualcuno in più in carcere, qualcuno andato via per sempre e Mamoiada torna a respirare e a progettare.

Se l’inverno arriva, la primavera non è lontana

Seguo la voce di De André fino ad un negozio di maschere di legno. Questa è la patria dei Mamuthones, le maschere rituali che con le loro danze primitive risvegliano la terra a colpi ritmati di scarponi e campanacci presagendo la primavera proprio quando l’inverno si fa duro. Come scriveva P.B. Shelley: «If winter comes, can spring be far behind?».

La svegliano presto, il 17 di gennaio, per Sant’Antonio Abate, protettore degli animali domestici e vincitore sulle tentazioni ordite da Satana. Come Mamoiada, Sant’Antonio ha una storia complicata, non è uno di quei santi che si comportano bene da subito e fanno carriera veloci. È il figlio di due coniugi appassionati, che non rispettano il voto di castità durante il cammino di Santiago di Compostela, tanto per cominciare. Per questo viene mandato all’inferno, a fare da aiutante al diavolo, ma lui fa scappare le anime dannate e anche il diavolo lo caccia. Prima di andarsene mette il bastone nel fuoco, un ultimo dispetto al diavolo, e regala il fuoco agli uomini, Prometeo de noantri.

Qualcosa si può fare, anche se stai all’inferno

Mamoiada ha imparato la lezione: si può sempre fare qualcosa di utile, anche se stai in mezzo a un inferno. A vent’anni dall’inizio della rinascita, nel 2015, i produttori di vino di Mamoiada fondano Mamojà, associazione culturale. E nel 2020, nel bel mezzo della pandemia, varano la prima edizione di Mamojàda Vives, una rassegna di incontri e riflessioni e degustazioni (la prima volta fatta online, spedendo i campioni di Cannonau ai giornalisti di settore e convocandoli poi da remoto per degustare tutti insieme). Mamojàda Vives 2023 si è appena conclusa, Non solo vino, stavolta, anche parecchia acqua caduta dal cielo. Ma soprattutto molti pensieri, molte parole, molti racconti, molto ragionare sul senso di essere comunità, sul privilegio che le interdipendenze ci regalano. E su come la storia di Mamoiada possa fare scuola, diventare modello per altri paesi e altre comunità che vogliano tenersi i propri giovani e vedere che gli abitanti anno dopo anno non diminuiscono, anzi, aumentano. Le giovani famiglie di Mamoiada – quelli che negli anni Novanta erano troppo piccoli, e i cui genitori negli anni Settanta uscivano la sera “per incoscienza, senza capire bene i pericoli che si correvano in paese”, – respirano il futuro e hanno voglia di condividerlo con i loro bambini.

La storia di Mamoiada è la storia di tutti quelli che a un certo punto guardano in faccia il proprio inferno e decidono che non lo vogliono più; e subito dopo guardano in faccia i propri simili per cercare, come dice Calvino, «chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno», e lo fanno durare.

6 risposte a “Il senso di Mamoiada per la comunità”

  1. Gino Bortoletto dice: Rispondi

    Bellissimo
    Ho un ricordo , condiviso nei primi anni ’90 con il gruppo storico di SlowFood Treviso: pecora lessa e patate. Mamoiada per sempre!
    Grazie e ciao
    Gino

  2. Molto interessante, giusto far conoscere una esperienza così positiva. Grazie

  3. Una bella storia da leggere e da far conoscere, perché sia di esempio ad altri territori.

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