Mare siamo e mare devastiamo

C’è stato un tempo, così lontano che se anche diciamo il numero dei milioni di anni non riusciamo a capire quanto, in cui tutto era mare. Lì, in quel mare che era tutto quel che c’era, è iniziato quello straordinario miracolo di equilibrio tra energia in entrata ed energia in uscita che si chiama fotosintesi clorofilliana e che ha dato vita alla “nostra bisnonna alga azzurra”, come la chiamava Laura Conti, la scienziata che compirebbe 100 anni quest’anno, e che ha iniziato e indirizzato, in Italia, il pensare ecologico.

 

Non ce lo ricordiamo mai

Non ce lo ricordiamo mai che se siamo qui, a passeggiare, vaccinarci, innamorarci e costruire centrali nucleari è grazie al mare.

Il Giappone ha deciso che sverserà, nei prossimi anni, le acque radioattive di Fukushima in mare e gli unici a impugnare la decisione (forse) saranno i Coreani del Sud. Perché sono i più vicini. Fossero stati lontani forse non lo facevano nemmeno loro.

Invece tutti i paesi del pianeta dovrebbero scandalizzarsi e opporsi con ogni mezzo. Perché di radioattività, se è molta, si muore. Se è poca e costante ci si ammala, non necessariamente poco e costantemente. E comunque non siamo in grado di prevedere cosa succederà a chi sta in mare e a chi sta in terra se per almeno 10 anni quelle acque verranno costantemente rifornite di radioattività.

Quello che invece sappiamo di sicuro è che non è una buona idea, né dal punto di vista ecologico né da quello etico né (ma questo è il punto su cui i begli intelletti della politica si ingrippano) da quello economico.

 

Se volassero gli stracci

I paesi ricchi hanno quasi tutti qualche scheletro nell’armadio, per quel che riguarda il mare, forse per questo tacciono. O prevedono di averne, prima o poi, e non vogliono compromettere la propria possibilità di devastare il mare, quando arriverà (certamente arriverà) il proprio turno.

Sarebbe interessante assistere a una di quelle situazioni in cui ognuno mette in piazza i fatti dell’altro per dimostrare che in fondo si è tutti colpevoli.

Come, ti scandalizzi per le acque radioattive? Ti sei dimenticato di quando hai affondato le navi con le scorie tossiche? E tu, che fai tanto il preoccupato, le tue industrie che scaricano in mare metalli pesanti non le vedi? Mica ho protestato, io, ogni volta che una tua petroliera è colata a picco e ha combinato un disastro… E via così, volerebbero gli stracci, si potrebbe fare una lunga lista con tutte le ferite, i dolori, le violenze e le mutilazioni che abbiamo inflitto alla “bisnonna”. Questo per menzionare solo i grandi eventi, perché non si avrebbe il tempo e il modo di rinfacciarsi reciprocamente i piccoli costanti inarrestabili e ignorati avvelenamenti quotidiani, che, per quanto straordinario sia quell’ambiente naturale, per quanto sorprendentemente resiliente e capace di autoguarirsi, l’hanno oggi portato a livelli di atrofia mai visti prima.

 

È un problema vero, parliamone

Eppure, mi piacerebbe che almeno l’Unione Europea, questa nuova e consapevole Unione che ha pensato e sta cercando di attuare un Green Deal per la prima volta nella storia, provasse a dire: caro Giappone, due anni fa abbiamo firmato un accordo che elimina le barriere doganali dal 99% dei beni e servizi che ci scambiamo, abbiamo 635milioni di consumatori da proteggere da quello che arriverà dalla tua terra e dalle tue acque, possiamo sederci (i Giapponesi sono beneducati, una sedia, loro, la prevederebbero) un momento e parlare di questa storia delle acque radioattive che vuoi sversare in mare?  Lo sappiamo che una soluzione per le scorie va trovata. A dire la verità, qui in Europa, hanno iniziato circa quarant’anni fa a dirci che c’era un problema di scorie con il nucleare, ma insomma adesso c’è questa grana e vi capiamo, ma prima di buttare tutto a mare, vogliamo negoziare un po’ e capire se ci sono alternative, visto che il mare non è vostro e c’è una bella differenza tra i diritti territoriali sulle acque e il danneggiamento irreversibile di un bene comune?

 

Disturbiamo, almeno un po’

Non sarebbe una cosa normale?

Non sarebbe nobile, serio, politico e civico almeno provarci?

Se non fanno niente i paesi ricchi, cosa potranno mai fare i paesi poveri, quelli i cui governi sono troppo deboli o ricattabili per essere ascoltati, i cui cittadini sono alle prese con emergenze quotidiane (morirò oggi? Mangeranno i miei figli?) che li escludono da ogni possibile partecipazione al dibattito pubblico?

Dobbiamo dunque rassegnarci a non disturbare l’ennesimo manovratore che chiaramente sta portando tutti a sbattere contro un muro? O si leverà, dalle sedi istituzionali, una voce in difesa di quel mare che,  a dispetto del Green Deal, sembra non avere mai voce?

2 risposte a “Mare siamo e mare devastiamo”

  1. Come funziona.. si può lanciare una petizione? è una cosa gravissima

    1. Certo che si può. Qualunque cosa ci venga in mente serve un po’. Grazie!

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