Più specchi per tutti

 

Noi abbiamo uno specchio. Da un lato è uno specchio normale. Dall’altro invece funziona come una lente di ingrandimento. Lo teniamo in bagno, più raramente in borsa. Spesso ne abbiamo più di uno: la casa, l’ufficio, la casa delle vacanze. Sia mai. Lo usiamo quasi tutti i giorni, sempre e solo dal lato che ingrandisce: scrutiamo il nostro viso come al microscopio.

Cerchiamo difetti.

Una nuova ruga, un’area (un micron x un micron) in cui la pelle sembra un po’ più secca, un inizio di impurità che forse, pare, dicono, a breve potrebbe evolvere in un punto nero. Tranquillo, caro poro, ora ti libero io. Un pelo che inizia a progettare vagamente di uscire, noi, con quello specchio, lo vediamo. Scordatelo, caro pelo, ora ti elimino. Abbiamo pinzette affilate come bisturi: di solito ne possediamo una mezza dozzina, ma una sola è perfetta. La conserviamo come una reliquia, la prestiamo con apprensione; ogni tanto ci sembra di averla persa e rivediamo il film della nostra vita, quanto ci abbiamo messo a trovarla, la pinzetta perfetta, e come l’abbiamo incontrata per puro caso e sicuramente no no no non sarà facile trovarne un’altra altrettanto perfetta. Poi ci accorgiamo che – ah, eccola – non l’avevamo persa e il cielo si riapre.

Tuttavia, abbiamo vite normali e frequentiamo persone dotate di un normale numero di diottrie. Sappiamo perfettamente che – escludendo i supereroi con la vista bionica, con i quali solitamente però non abbiamo relazioni biunivoche – nessuno potrebbe vedere quell’imperfezione, nemmeno da molto molto vicino. Noi, – noi! – senza specchio non l’avremmo vista.

Eppure il rito del cercare difetti non si discute. Potrebbe sembrare vanità, ma non lo è: non è la conferma della nostra bellezza che ci muove: è la certezza che – a ben guardare – qualcosa che non va si trova.

Così, forse anche così, ci abituiamo al dubbio su di noi e lo lasciamo passare anche nei momenti in cui dubbi non ne abbiamo, non ne dobbiamo né possiamo avere.

E se lo lasciamo passare noi, figuriamoci gli altri.

Forse prendiamo meno soldi del nostro collega pari grado perché siamo meno brave a reclamizzarci.

Forse ci hanno licenziate perché dopo la maternità non eravamo abbastanza concentrate.

Forse la promozione che pensavamo di meritare l’ha avuta il nostro collega più giovane e inesperto perché siamo state un po’ petulanti nel richiederla.

Forse ci hanno interrotto venti volte durante la riunione perché parlavamo a voce troppo bassa.

Forse quelle battute grevi in nostra presenza le fanno perché non abbiamo il coraggio di dire quanto ci disturbano.

Forse ci hanno picchiate perché siamo state esasperanti.

Forse il nostro bambino è finito in mare – ed è morto morto morto, davvero è morto? Sì, è morto – perché abbiamo scelto la parte sbagliata del gommone. O perché siamo nate nella parte sbagliata del mondo.

Forse quel giovane e ricco imprenditore – geniale, dicono i giornali, e si dispiacciono perché ora dovrà interrompere la sua carriera – ci ha violentate, e picchiate, per ore perché non siamo state abbastanza veloci a scappare, a riconoscere l’orco, perché non siamo state così sveglie da immaginare l’inimmaginabile e quando abbiamo iniziato a immaginarlo l’orco ci aveva già drogate e pensavamo fosse un incubo, ma il male faceva male davvero, la paura era paura vera, solo che ormai eravamo svenute sul pavimento, e per il nostro aguzzino andava bene anche così.

Forse nostro marito ci ha sparato, e ha sparato ai nostri bambini, perché siamo state indelicate, gli abbiamo detto che volevamo il divorzio e lui, povero cuore, ha preso tutta la sua nobiltà d’animo, quella che secondo i vicini lo faceva lavorare anche nei week end per mettere a posto la casa, l’ha usata per caricare la pistola – regolarmente dichiarata, dicono le cronache, afinché nessuno dubiti: era un cittadino modello – e sparare una, due, tre volte. Anzi, quattro: pure il cane, come le cronache non mancano di riferire, senza nemmeno disturbarsi a cambiare tono. Anzi, cinque: perché poi si è sparato anche lui. L’orco, forse, a un certo punto inorridisce pure lui. Non per noi, no, noi l’abbiamo deluso. Forse per i bambini, ma se sei riuscito a sparare in testa ai tuoi bambini – mentre dormono, quando si dovrebbe solo pensare a baciarli e poi non farlo per non svegliarli – ormai sei oltre l’orrore.

Riprendiamo quello specchio. Usiamolo dalla parte normale. Guardiamo il nostro viso per intero, non spezzettiamolo in un cubismo dell’anima che ci impedisce di riconoscerci come persone. Riconosciamo il nostro sguardo, il nostro sorriso, le nostre rughe, la nostra età e la nostra storia e le storie di tutte le altre.

E poi, un giorno alla volta, un passo alla volta: chiediamo stipendi equi, trattamenti conformi, pretendiamo di terminare le nostre frasi con il tono di voce che abbiamo, chiediamo – nelle sedi opportune – perché ci stanno licenziando, perché non ci stanno promuovendo, chiamiamo gli stupratori ricchi e bianchi con il loro nome di stupratori, chiamiamo gli assassini in regola con le tasse e la burocrazia con il loro nome di assassini, ribattiamo ai commenti che aggiungono il peso della colpa sulle giovani spalle di una madre spezzata.

Poi, certamente, torneremo a girare lo specchio dal lato che ingrandisce e gli sorrideremo, perché la verità è che quel rito ci diverte.

E chi non impara a ragionare un po’ ogni giorno con le proprie imperfezioni e i propri fallimenti, a scovarli e venirci a patti, a metterli in conto e quindi a relazionarsi con le persone senza pensarsi perfetto e senza immaginare di esserne proprietari, utenti o giudici – non sa cosa si perde.

3 risposte a “Più specchi per tutti”

  1. Bella metafora. Peraltro me lo chiedo ogni volta che lo uso, quello specchio: ma chi mai potrà vedere quel difetto così piccolo?
    Io mollo subito, ma il percorso mentale conclusivo, dopo quello che hai perfettamente descritto, è un altro: a chi mai potrà interessare guardarmi, così nel dettaglio per di più, e in ogni caso saranno gli altri difetti – quelli macroscopici – a scoraggiare l’eventuale, improbabile osservatore.

    1. Grazie Barbara. Ma perchè pensare a cosa potrà scoraggiare chi ci guarda? Perchè prendere in considerazione solo la pars destruens? Quanti millenni di critiche continue e non sempre velate ci portano a ragionare solo su quello che non va? E comunque: visto che ormai abbiamo questi millenni di allenamento: vogliamo farne un punto di forza?

  2. Non è importante sapere se qualcuno vuole guardarmi così dettagliatamente, sono io che mi guardo e devo essere tranquilla di poter chiamare le “cose” con il loro nome: orco, usurpatore, disonesto, violento…
    Grazie Cinzia

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