Ciao Cinzia!
Ho letto la tua lettera e mi veniva quasi di ringraziarlo, il Coronavirus. La antica saggezza buddista suggerisce di trasformare il veleno in medicina, ma più spesso viene da sputarlo, o rimuoverlo, quel senso d’amaro in bocca provocato dall’impotenza, dall’imprevisto.
Il limite che viviamo a causa del Virus è fisico, sovraordinato: addirittura istituzionalizzato. Allora c’è chi si incaponisce, chi trova scappatoie e mezzucci per continuare a correre nella ruota del criceto della quotidianità così tanto rodata che ti lascia vivere senza doverci nemmeno pensare su. E poi c’è chi, invece, si arrende e si lascia incuriosire da questa dimensione tanto inattesa. Già la possibilità di leggerti e rispondere è un primo respiro sottratto a quegli spostamenti convulsi per la città che trasformavano la vita in parentesi goffe e cariche di cose e pensieri tra la porta che ti chiudi dietro alle spalle, e quella che ti riapri, esausto, alla fine della giornata. Un regalo.
Un altro regalo, più grande, è averci dato un motivo fondato per chiederci l’un l’altra: come stai?
I nostri corpi finalmente comodi
In virus veritas: i metri quadri che ci contengono in questi, tanti, giorni di quarantena, si fanno sempre più stretti e tutto quello che ci abbiamo messo di troppo, di non essenziale, si manifesta con maggiore chiarezza come un “di più”, un peso, un ostacolo a un fluire più comodo dei pensieri e del quotidiano.
Penso al mito moderno dell’eterna giovinezza, dell’efficienza: quell’efficientismo che non è salute perché non ti far star bene che a filo di pelle. In realtà è solo funzione di ciò che devi fare e produrre. Ora che puoi portare il tuo contributo alla società senza mostrarti ad altri se non al tuo specchio, o a chi ti conosce anche meglio di te vista la consueta convivenza, non è la pelle tesa, il muscolo tonico, l’abito sgargiante che ti fanno stare bene. Ma la carezza di un tessuto naturale, il corpo che respira, che si distende senza performare, anzi verificando passo a passo, respiro dopo respiro, se qualcosa va o no.
Sopra di noi è tornato visibile il cielo: a testa bassa, col telefono sempre acceso o l’attenzione al traffico, se c’era o no lo intuivamo solo quando si scioglieva in pioggia o batteva col sole insopportabile di un clima sempre più ostile. Ora, invece, è il rettangolo di sguardo più ambito dal chiuso delle stanze. Chi ha un terrazzo, o un giardino, ci si tuffa per sentire fisicamente che questa innaturale reclusione finirà. Il nostro corpo naturale si ribella, prevale sul corpo socialmente definito e si prende ciò di cui abbiamo bisogno: aria e cielo, e spazio e vita.
Cambiamo o ci riveliamo?
Però Lui, il Virus, è lì. E’ nel “fuori”, invisibile a noi come l’aria, letale come le nostre peggiori paure: la morte e il dolore. Una paura soffocante, finale, che ci blocca le mani prima che tocchino la faccia o le sfrega convulse sotto l’acqua come mai prima. Il Virus è un appuntamento: con quello che non abbiamo risolto, collocato, capito, eternamente rinviato. Mi interessa capirlo insieme a te, se ti va, o anche soltanto chiacchierare su quello che ci capita e che ci rimbalza in casa dal telefonino.
Non so tu, ma io ho tra amici e conoscenti decine di chef che non sospettavo nemmeno. E virologi, ginnasti, filosofi, umoristi, musicisti e latin lover. C’è chi impasta per un esercito, chi si allena come in caserma, chi flirta, chi ha staccato dal chiodo la chitarra che non suonava dai tempi del falò in spiaggia – con qualche buona ragione -, chi prova a riderci su e a strappare un sorriso anche a te. Poi c’è chi non ce la fa, chi piange, chi muore, chi ci specula su. A guardarle e guardarli meglio, non li conoscevo così bene. A volte non li conoscevo affatto e pensavo di sì. Maledetto Virus. O forse no.
A presto!
Monica
Cara Monica, in queste lunghe settimane dobbiamo fare i conti con noi stessi e non c’è via di fuga. È vero che capita anche di scovare là in fondo a noi qualcuno o qualcosa che non ci piace. Ciò che di superfluo abbiamo accumulato dentro le spesso corrisponde a quello che abbiamo accumulato anche fuori. E ci siamo cimentati in mestieri che non avremmo immaginato. Alla lunga lista manca quello di chi si è dovuto scoprire maestro e che non avremmo mai pensato di dover fare. E su questo si, siamo pericolosamente inadeguati. Ed è vero che quel quadrato di cielo ora lo abbiamo riscoperto solo ora nel suo valore vitale, ma c’è anche chi non poteva farne a meno prima e non può farne a meno ora.
“Il Virus è un appuntamento: con quello che non abbiamo risolto, collocato, capito, eternamente rinviato.” Esatto. <3