CARA MONICA – Pensieri da Virus

Cara Monica,

come stai ? Hai notato che abbiamo ricominciato a chiedercelo per davvero, ad aspettare una risposta e ad ascoltarla?

In questi giorni mi arrivano messaggi da gente che non vedo spesso e non mi scrive mai. Un “Ciao Cinzia, come stai?” fino a qualche settimana fa preludeva a qualcos’altro. Oggi invece è quella la convesazione. Rispondo “Bene, grazie; tu?” e l’altro dice “Bene anch’io” e la conversazione è finita, era quella. Impensabile fino a poco tempo fa.

Per dire proprio tutta la verità, rispondiamo “Bene, per ora”. Lo fanno tutti, in tutte le lingue. Come se non ce la sentissimo di garantire. Per come ci sentiamo e per quel che ne sappiamo, stiamo bene, ma non esageriamo con la sicurezza.

Quindi dimmelo. Come stai?

Anche il virus è Natura

Io, sto bene (per ora) e dedico a questo virus un sacco di pensieri. Mi trovo un po’ nella situazione dei credenti ai quali viene chiesto “ma se è vero che c’è un Dio, allora perché succedono queste cose?”. Io sul Dio non mi pronuncio, ma credo che questo virus faccia parte di quella Natura che da decenni ci vede tra i suoi difensori, di quell’Ambiente del quale cerchiamo di occuparci, chiedendo che venga rispettato, tutelato, e cercando di far capire (agli studenti, ai lettori, ai politici, agli industriali, ai consumatori) che gli equilibri che dobbiamo tutelare sono tanti, delicati e interconnessi.

Ecco, in quell’Ambiente e in quella Natura ci stanno miliardi di virus. Sono lì da molto (ma mooolto) prima che arrivassimo noi Homo, noi siamo davvero gli ultimi arrivati. Siamo a casa loro, o per lo meno, siamo in una casa comune, in cui però noi ci siamo veramente allargati troppo. Le buone maniere potrebbero essere un vademecum anche per l’ecologia.

La rivoluzione in un virus

Insomma, io ho paura come tutti e vedo i disastri come tutti. Ma non riesco a non provare un po’ di simpatia per questo coso, questa “entità biologica” come dice Wikipedia che lo definisce un “parassita obbligato”, perché se non entra nelle cellule di un organismo non si può riprodurre e quindi muore. Ma non siamo tutti un po’ così? Noi siamo solo più grossi, ma mi sa che funzioniamo in modo simile.

Comunque, son qui che penso al Virus. L’essenziale è invisibile agli occhi, ma nel caso di specie, più che col cuore, si vede con i polmoni e anche questo mi dà da pensare. È come se questo virus stesse sistematicamente spostando tutte le nostre certezze. Ribaltando luoghi comuni, dati acquisiti e la visione stessa che abbiamo del mondo. In questo senso è un virus “rivoluzionario”, proprio nel senso fisico: ci prende e ci ribalta.

Di questo mi piacerebbe parlare con te, in queste settimane. Iniziando dalla cosa che mi piace di più constatare: te li ricordi quelli che dicevano – fino all’altro ieri, non secoli fa – che i professoroni si dovevano fare da parte e “lasciar lavorare” la politica? Te lo ricordi quanto ci si sgolava, e con quale sistematica inutilità, negli ultimi 20 anni almeno, a dire che la politica doveva ricominciare a studiare, che la ricerca pubblica (e non il mercato o il consenso) doveva guidare le azioni politiche in fatto di ambiente, agricoltura, società? Te lo ricordi che sembrava di parlare col muro?

Ecco, non foss’altro che per questo, io vorrei che qualcuno gli facesse un monumento, al Virus.

Se i pavoni si mettessero a studiare…

Greta Thunberg, si è piantata, due anni fa, fuori dal Parlamento svedese con un cartello che diceva: sciopero della scuola. Quando le hanno chiesto che diavolo stesse facendo ha risposto: se le cose che mi insegnano a scuola i politici non le prendono in considerazione che ci vado a fare? È iniziata così, da quella goccia, l’ondata che ha travolto le piazze per due anni. Ma sembravano due mondi paralleli: la politica da un lato, che magari a Greta faceva pure i complimenti (e lei chiariva dove se li potevano mettere), ma poi correva a rispondere alle chiamate del profitto, dei voti, del potere.

Sarà un cambiamento duraturo? Cioè: cambieranno le regole del gioco? Si metterà la ricerca pubblica al centro dell’attenzione e dei finanziamenti?

Io sono convinta di sì. Penso che un punto a proprio favore il Virus l’abbia segnato: la politica che si pavoneggia sfoggiando la propria ignoranza (a 360 gradi, come quando si fa la ruota, appunto) per raccogliere voti, declinerà e lascerà il posto a una politica più conscia dei propri limiti e dei propri doveri verso la ricerca.

Ti abbraccio («diciamolo per dire, ma davvero» come cantava Guccini)

Cinzia

 

13 risposte a “CARA MONICA – Pensieri da Virus”

  1. Molto bello, molto vero. Solo una domanda: “la politica che si pavoneggia…declinerà e lascerà il posto a una politica più conscia dei propri limiti e dei propri doveri verso la ricerca.”? Sicure sicure?

    1. sicure sicure magari no, ma come diceva Pretty Woman, ci si può lavorare.

      1. Quasi quasi si potrebbe approfittare del fatto che questo maledetto virus sembrerebbe non accanirsi sulle donne. “Resta pure a casa, caro: vado io!”

    2. Stanno lí aspettano e affilano le armi, più agguerriti di prima.

  2. Rosmeri scaffidi dice: Rispondi

    Eccomi

  3. Chi oggi subisce di più la crisi, alla ripresa sarà sfiancato, logorato da mesi di incertezze e paure. Alla ripresa le esigue forze saranno usate per rimettere insieme i cocci. Nel frattempo chi godeva di privilegi o si trovava una una condizione di una maggiore forza continuerà ad imperversare. Si tornerà a mettere nel cassetto la ricerca, i ricercatori. Poi più innlà forse qualcosa cambierà, ma più in là.

  4. Buongiorno Cinzia, non ci conosciamo direttamente ma abbiamo belle amicizie comuni. Volevo ringraziarti per il tuo blog, innanzitutto. Mi pare un modo bello di entrare in connessione, magari è solo un’illusione, ma uscire per un attimo dal circuito perverso wa-fb-twitter – sia pure restando a monitor e tastiera e pur sempre in qualcuno dei nostri inner circles – è comunque un minimo di boccata d’aria fresca.Un’altra cosa di cui ti ringrazio è aver provato a pensare al “coso”, al virus, con la disponibilità che tutti dovremmo avere verso la vita, in tutte le sue forme. Immagino anche tu sia esausta dal non casuale linguaggio da apparato militare-industriale con cui è plasmato ogni discorso mainstream su quello che ci sta succedendo. E ho anche pensato, leggendo il tuo primo post, che forse siamo tutti di fronte alla necessità di rimettere in discussione molto più che la “politica”, ed il suo rapporto con il mondo e la necessità di capirlo almeno un po’ prima di tornare alla solita visione ipermetrope delle agende dei soliti portatori dei soliti interessi. Di fronte a questa necessità, io sento molto forte l’esigenza di ripensare noi stessi, i nostri metodi (fallaci assai di solito), le nostre capacità di fare cose nuove senza ancora aver capito bene quali strumenti usare. E’ come se dovessimo assemblare un pomodoro con una chiave a brucola di Ikea. Penso che siamo di fronte a un grande lavoro, e non sappiamo nemmeno come sarà la fabbrica. E penso che questo grande lavoro dobbiamo saperlo fare in tanti, condividendo con umiltà e capacità nuova di ascolto quanti più costruttori possibile. Perché è un lavoro immane, che ci dà forza solo se lo facciamo insieme. Chiudo con due cose, che magari non c’entrano nulla, oppure sì. Una è che mi torna spesso la cosa che diceva Diego Bianchi in una delle sue cronache alla finestra. “Da questa cosa si esce compagni”. Ora non conta che l’abbia detta Zoro o chiunque altro, e so anche che è molto lontana dalla realtà attuale, ma io vorrei andare lì, se quel lì riusciamo a trovarlo. Però mi fermo qui che ho già detto troppo. Tranne una cosa, prima di salutarti. Che vorrei che oltre che uscirne compagni ne uscissimo madri, soggetti capaci di generare e curare. Noi stessi, i nostri figli, la nostra comunità, chi non ne fa parte, la vita che ci circonda. Un abbraccio Cinzia, e spero a presto su questo blog.

    1. Grazie Giampiero, per aver condiviso i tuoi pensieri e per la benevolenza con cui guardi il mondo. Usciamone madri è una bellissima cosa su cui riflettere. A presto.

  5. Ciao Cinzia, che bella questa tua iniziativa, generosa e decisamente controcorrente rispetto ai canali in uso, troppo in uso, di questi tempi. Non ci conosciamo direttamente, ma abbiamo molte amicizie (a partire da Monica) e battaglie in comune. Per 20 anni mi sono occupata di diritti e politiche dei consumatori.
    Ho trovato le tue domande stimolanti, molto. Urgenti. Scrivo qualche parola in libertà. Io auspico una politica non solo più “conscia dei propri limiti e dei propri doveri”, ma decisamente più competente, che non vuol dire che può arrogarsi il diritto di sostituirsi alla ricerca pubblica ( indipendente ed autorevole, capace di processi di accountability sui propri finanziamenti, partenariati dei progetti di ricerca, etc.etc.) , assolutamente, ma che è in grado di interpretare e comprendere tutte le risultanze, le istanze che provengono dalla ricerca ed utilizzarle con sapienza per effettuare scelte strategiche. Prendere in considerazione quelle risultanze per mettere in discussione alcuni percorsi tracciati, il dialogo dovrebbe essere permanente. Voglio una politica capace di assumersi la responsabilità delle proprie scelte, non di navigare perennemente a vista. Una politica che non sceglie da sola, auspicabilmente, anzi doverosamente, con modalità partecipative chiare e non formali, ma che sceglie. E’ il criterio della scelta che deve cambiare. Come hai ben scritto tu, il criterio è stato il consenso immediato e l’abdicazione alle regole del mercato (ci pensa lui a riequilibrare le storture, le diseguaglianze ), nessuna strategia. Una domanda. Cosa ha comportato l’utilizzo di questi criteri, in maniera duratura, da parte di dirigenti ed amministratori politici a livello locale e regionale? Eh. Se ci sarà un cambiamento e se sarà duraturo? Come innescarlo questo cambiamento? Sarà necessaria una rinnovata capacità di generare nuovo pensiero, in primis. A proposito di cambiamento. Io auspico in un cambiamento, un salto di qualità, anche del terzo settore, capace di essere sul serio corpo intermedio nel rappresentare bisogni, nell’avanzare proposte politiche e potremmo continuare ad oltranza. Un terzo settore, soggetto economico e politico, capace di incidere nell’indirizzo e nella gestione della “cosa” pubblica, ma sul serio. Ma questo è un altro tema. Tornerò a leggerti con gran piacere ed a scrivere, in questa fase è indispensabile ascoltare, restituire esperienze, confrontarsi, imparare e c’è tanto da imparare. Un saluto grato.

    1. Cara Tina, concordo su tutta la linea. E la riflessione sul terzo settore è fondamentale. Grazie a te.

  6. Un blog necessario. questo è il tuo blog e non navevo dubbi che lo sarebbe stato. Io la penso come te e tutti mi dicono che sono una pazza, che “dopo” tutto ricomincerà peggio di “prima” come se questo dipendesse da altri e non da noi, ma sarà diverso (e migliore) solo se noi saremo diversi, e quindi al dunque tutto sta a noi. Il passo più difficile non è cominciare bensì arrivare a capire per l’appunto che la vita che sarà dipende da noi, è molto tempo, forse da sempre, che diamo per scontato che le “colpe” di ogni misfatto siano sempre degli altri, così come i risultati positivi, siamo ormai incapaci anche solo di credere che il potere è nostro. Ecco io questo vorrei che alla fine non si torni alle solite lamentele. Questa volta non ci sono alibi, la palla è a noi. Giochiamocela.

  7. Esatto. Andiamo a vedere. Grazie Stefania.

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