I sottili “perché” non si trovano sui social (ma spiegano il mondo)

La comprensione è fatta di fili sottili che legano insieme elementi più consistenti, pesanti, visibili e che per questo vengono considerati “i più importanti”.

Se non si ha la consuetudine di leggere tutto il libro – non solo le recensioni -, tutto l’articolo -non solo i titoli-, di ascoltare tutta la conferenza – non solo il riassunto che ne ha fatto il tg o il breve video incontrato sul web mentre si cercava altro-, se non si matura questa consuetudine, ci si ritrova a guardare solo quegli elementi macroscopici e a connetterli tra loro in modo arbitrario.

Può succedere che tanto basti a cavarsela, se ci si muove tra il salotto di casa e il bar; se l’obiettivo è “dire la propria” sempre e comunque senza curarsi di come si contribuisce a una conversazione e di come da quella conversazione (o lezione, o lettura) si intende uscire un po’ arricchiti.

Greta è una che non va a scuola

Succede così che la storia di Greta Thumberg sia riassunta, nella grezza visione di chi legge solo i titoli, come la storia di una ragazzina che “non va a scuola” per protesta. Perché protesta? Per la questione del clima. Fine. Per uno scambio veloce, tra un’arachide e un sorso di spriz, non serve altro.

Quindi nelle menti leggere di chi sta al mondo in questo modo si radica questa equazione: per protestare non si va a scuola. Semplice anche da ricordare, dovesse mai servire in futuro: al primo che mi rompe le scatole glielo dico, non sono d’accordo e quindi non vado a scuola.

Ma Greta non ha scelto a caso il mezzo della sua protesta. Greta non protesta, genericamente, “per il clima”: Greta protesta, da due anni a questa parte, perché gli scienziati che ci forniscono dati e conoscenza a proposito dei cambiamenti climatici vengono sistematicamente ignorati dai governi che dovrebbero prendere delle iniziative in merito. Tuttavia quei dati e quella conoscenza vengono insegnati nelle scuole. È questo che dice Greta: che ci vado a fare a scuola se quel che mi fate imparare là, i governi continuano ad ignorarlo? È questo il suo richiamo, ogni venerdì, da due anni: ascoltate gli scienziati, prendete in considerazione i risultati di quelle ricerche e trasformateli in azione politica conseguente. È questo il sottile “perché” che collega le sue azioni molto visibili. Peccato che alla maggior parte di chi sa quel che sa su Greta solo perché distrattamente ha incrociato qualche post su qualche social, questa cosa non solo sfugge, ma non interessa.

Protestare costa

C’è di più: Greta si assume il peso del suo gesto simbolico. Un giorno alla settimana salta scuola, ma poi recupera, non vuole rimanere indietro. C’è differenza tra protestare e grattarsi le ginocchia, ma per capirlo bisogna riuscire a vedere i perché più sottili.

Succede con tutti gli scioperi. Se non vai a lavorare per scioperare, alla fine del mese avrai dei soldi in meno in busta paga. Dovrai farci i conti, spendere meno, rimandare qualche acquisto. Le proteste, gli scioperi, chiedono sempre una contropartita. Mi domando chi ha insegnato invece a questi ragazzini a vedere solo la parte più superficiale degli eventi. Quando hanno sentito parlare di scioperi o di proteste, qualcuno gli ha detto che quella era semplicemente gente che “non andava a lavorare”? Quando restano in stazione perché c’è sciopero dei ferrovieri pensano che sia solo perché chi doveva far partire il loro treno è rimasto a dormire? O si domandano per quale ragione stanno protestando e se è opportuno o meno solidarizzare con quelle ragioni?

Noi, anziani irritabili

E’ così che una ragazzina italiana dell’età di Greta, alla quale non va giù, personalmente, una decisione del governo, decide di “fare come Greta”, o quantomeno di fare quello che lei suppone essere quello che fa Greta. Non andrà a scuola, dice. Per cosa protesta? Contro la chiusura delle discoteche. E la scuola cosa c’entra? Niente, non fate domande inutili. E’ solo la cosa più visibile, l’unica che ha capito bene, l’unica che probabilmente si è data la pena di leggere e nessuno si è dato la pena di farle notare altro.

Alcuni di noi anziani, quelli di noi che più invecchiano e più diventano cinici, oltre che irritabili, hanno avuto tanta voglia di risponderle: non vai a scuola? Non ti preoccupare, nessuno noterà la differenza. Ma poi ci siamo pentiti e ci è venuta voglia di provare a collaborare, dando qualche idea per una protesta coerente con l’obiettivo che si pone.

Perché minacciare di non andare a scuola per chiedere la riapertura delle discoteche è come minacciare di non andare a messa per chiedere una riduzione dei prezzi della manicure. Cosa c’entra? Niente, infatti.

Piuttosto, ragazzi che vi ritenete lesi nei vostri diritti se chiudono le discoteche, provate a individuare comportamenti legati alla vostra frequentazione di quei locali e minacciate di non praticarli più, perché il loro fine era collegato alla possibilità di andare in discoteca e se ve le chiudono allora non ha più senso.

Terrorizzate i parrucchieri dicendo: se ci chiudono le discoteche non andiamo più a farci sistemare i capelli.

Coinvolgete le case discografiche dicendo: se ci chiudono le discoteche è inutile che ci teniamo aggiornati sulla musica disco.

Mettete in ansia le case farmaceutiche al pensiero di quanti analgesici in meno venderanno per le emicranie del giorno dopo.

Vedete voi.

A scuola, per non parlare da soli

Ma a scuola, secondo me, sarebbe meglio se continuaste ad andarci. Perchè imparare tanto, bene, il più precocemente e il più a lungo possibile è ancora il modo più efficace per capire cosa sta succedendo intorno a noi. Non solo intorno al nostro più o meno coperto ombelico, ma anche al di là, molto al di là della nostra apparentemente preziosissima persona. È l’unico modo che abbiamo per vedere i sottili “perché” che ci spiegano il mondo e ci raccontano qualcosa di più e qualcosa di meglio di quel che ci possiamo compiacere di dire parlando da soli, senza regole, senza obblighi, senza confronto e senza verifica, davanti a uno specchio o – con minime differenze – davanti a un video.

Una risposta a “I sottili “perché” non si trovano sui social (ma spiegano il mondo)”

  1. Io sono tra gli anziani che si sono indignati Cinzia, ma non per la protesta in sè o per la minaccia di non andare a scuola, ma per la futilità, in questo momento, della protesta, fra tutti i problemi che ci assillano questo mi sembra il minore, e il non capirlo non so se sia segno di idiozia o di egocentrismo, probabilmente ambedue, non è solo che i più giovani dovrebbero imparare a protestare ma dovrebbero anche imparare quali siano le ragioni per cui protestare, la chiusura discoteche in tempi di Covid non è fra questi.

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