Siamo quello che annusiamo

La cosa che più irrita è che nessuno se ne occupi, come fosse una stranezza qualsiasi. Se improvvisamente, nel giro di poche ore, in sesta o settima giornata di Covid, diventassimo temporaneamente ciechi nessuno ci risponderebbe rilassato “dai, non ti preoccupare, la vista poi ti torna”.

Sensi e sensastri?

Invece l’olfatto non impressiona nessuno. Come se fosse un senso minore, come se non fosse esattamente quello che ci orienta lungo le giornate, da quando apriamo le imposte la mattina (il calicanto, dove è finito il profumo del calicanto?) a quando andiamo a dormire puliti la sera, nella certezza di essere puliti.
L’olfatto non è un senso volontario, gli occhi li possiamo chiudere, le orecchie ce le possiamo tappare, ma l’olfatto accompagna il nostro respiro e i profumi ci raggiungono, ci parlano, ci collocano nel tempo e nello spazio, ci danno la profondità di un esistere che è fatto anche di piccoli frammenti di memorie non sollecitate da nessun pensiero, ma portate da un odore, qualche volta senza o prima che il nostro cervello lo registri.

La memoria non serve

Il nostro mondo improvvisamente perde dimensioni, la nostra identità si affievolisce: non sappiamo riconoscere né riconoscerci, non sappiamo cosa ci piace, di cosa abbiamo voglia. Sentiamo di avere appetito, ma l’unica scelta che ci resta è quella delle consistenze e delle temperature. Proviamo a rifugiarci nei piatti che conosciamo molto bene, sperando di poter supplire con la memoria alla mancanza di percezione, ma non funziona, è come mettere una musica non potendola sentire e sperare che ci basti il ricordo: di Beethoven ce n’è uno.

Immersi nell’incubo mediatico

È come se l’incubo mediatico si fosse trasformato in realtà. Anni di cibo e vino su schermi di ogni tipo, su pagine più o meno patinate e ora ecco che anche il cibo che abbiamo davanti è uguale a quello: possiamo solo guardarlo e guardarlo non ci piace nemmeno un po’.
Anche se non hai passato gli ultimi 30 anni della tua vita ad occuparti professionalmente di cibo, anche se non ti sei ammazzata di corsi di degustazione per trovare il modo di definire il profumo del miele di tiglio senza dire cose inopportune, anche se non hai popolato la tua rete di amicizie di persone che prima di bere un sorso di vino avvicinano il naso al bicchiere con la concentrazione di un aruspice, anche se tutto questo non l’hai fatto, se ti staccano l’olfatto la menomazione è totale, e la depressione è una concreta possibilità.

Quanto mondo sparirebbe?

L’olfatto e il gusto sono la costante millimetrica strumentazione di aggiustamenti del nostro io lungo la giornata, sono i costruttori delle nostre relazioni sociali e di quelle con la natura che ci circonda, sono il mezzo attraverso cui monitoriamo il mondo e lo ricolleghiamo agli infiniti mondi che siamo e siamo stati.
Quanta parte di mercato, di ristorazione, di turismo, di junk food sparirebbe se sparissero gusto e olfatto dalla faccia della terra? Quanta parte di civiltà, cultura, progresso, pensiero? E quanta identità, tradizione, fierezza, competenza? Avrebbe ancora senso parlare di sovranità alimentare se nessuno potesse sentire il sapore di quel che mangia?

E’ un promemoria, prendetelo sul serio

Allora, prendeteci sul serio, via quei sorrisetti condiscendenti. Lo dico ai medici, ai ricercatori, agli amici e ai conoscenti. Lo dico, ce ne fosse mai qualcuno a portata di mano, ai politici. Non prendere seriamente l’anosmia (così si chiama la perdita dell’olfatto) e l’ageusia (perdita del gusto) significa non prendere sul serio il fatto che abbiamo un corpo che si relaziona alla pari con il nostro cervello, significa ignorare che siamo esseri animali connessi al resto del vivente e del non vivente, significa dimenticare che se siamo qui, da più di un anno, in balia di un virus è anche perché abbiamo pensato di essere fuori e altro rispetto all’ecosistema di cui, invece, facciamo parte.
E tu, olfatto mio, torna presto.
Perché dovunque tu sia andato a cacciarti, io da sola non ti posso ritrovare.
Senza di te non mi posso ritrovare.

10 risposte a “Siamo quello che annusiamo”

  1. Filomena petrella dice: Rispondi

    Grazie!
    importante conoscere queste tue riflessioni

  2. Cara Cinzia,
    Le parole che hai scritto mi hanno colpito molto. Perché?
    Nelle prime lezioni di cucina come docente e cuoca slow non insegno a tagliare e spadellare i cibi ma proprio quello che tu hai così ben descritto. Il contatto e la relazione del piacere dipende da come ci relazioniamo con il mondo che ci circonda, con i paesaggi in cui abbiamo scelto di vivere o di raccontare.
    Ma la cosa più toccante è un’altra. Le conseguenze sensoriali che prova per mesi chi si ammala di Covid mia madre le vive da anni causa un ictus cerebrale. Le ha provocato dapprima anosmia poi ageusia e infine incapacità di deglutire. Per il resto la sua memoria funziona ancora ma la sua voglia di vivere si è spenta proprio per quei motivi da te evidenziati. Un giorno mi ha detto che la vita non può essere vissuta senza i suoi profumi ed i suoi gusti. Chiusa nella sua bolla anosmica vive in un mondo non più desiderato.

    1. Grazie, cara, è proprio così. Mi dispiace per la tua mamma, un abbraccio a lei e a te.

      1. cara Cinzia , grazie per le parole che ci hai regalato, cronaca del tuo presente. Ti auguro di guarire presto e tornare ad annusare la vita. baci.

  3. Cara Cinzia, ti capisco bene. Forse è simile al paio di raffreddori micidiali che ebbi per cui non ho sentito odori e sapori (strettamente connessi dalla via retronasale) per giorni. Uno di essi lo ebbi durante il periodo del corso di sommelier…
    Per la nostra identità, penso io, i sensi e i loro organi, tutti, sono essenziali. Se ne manca uno, l’essere umano col tempo si adatta. Ma ciò non cambia che siamo anzitutto animali sensuali.
    Ti auguro di risentire al più presto tutti gli amari, i dolci, i puzzi e i profumi.

    1. Grazie Francesca, a riannusarci presto! 🙂

  4. Antonello Loreto dice: Rispondi

    Bellissime riflessioni, Cinzia

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