Tanti ragazzini non ballano
Sembra che uno degli effetti collaterali dell’eccesso di connessione in cui vivono i giovanissimi sia che vanno alle feste e restano lì, fermi, senza ballare. C’è la musica, ma loro non ballano. Dicono qualche parola, soprattutto la scrivono messaggiando con persone che non sono alla festa. Ma non ballano. Perché? Perché ognuno di loro ha in mano un’arma con la quale paralizza tutti gli altri, e cioè la fotocamera del proprio cellulare. I ragazzini e le ragazzine, pare, non ballano perché rischiano di essere fotografati in pose non studiate, mentre seguono il ritmo della musica, si rilassano, si divertono e magari si spettinano o non hanno il viso perfettamente composto e il corpo allineato ai dettami estetici del momento. Quella foto potrebbe poi circolare sui social, eventualmente accompagnata da commenti sgradevoli, o da prese in giro, e in ogni caso loro ne perderebbero il controllo.
Sicché, per non perdere il controllo sulla propria immagine, rinunciano all’autodeterminazione del proprio corpo.
I gestori dei locali in cui si svolgono queste “feste” li guardano increduli e studiano sistemi per incentivare i partecipanti a “consegnare” il cellulare all’ingresso, come si faceva nei saloon con le colt. Perché hanno notato che quando non hanno la preoccupazione dei telefonini testimoni di eventuali scompostezze, i ragazzi riprendono a rilassarsi e persino ammettono di divertirsi di più. Persino ballando.
Tanti ragazzini non mangiano
Ma non è solo con il ballo negato che puniscono il proprio corpo. Per celebrare i 18 anni o le lauree si concordano i menu con i ristoratori, ma poi, dai tavoli, i piatti tornano in cucina quasi intonsi. I ragazzini non mangiano. In compenso bevono, tanto e subito, mangiando pochissimo. Non tanto per questioni di linea ma perché se mangiano si ubriacano più lentamente (e devono bere ancora di più, il che costa).
I gestori dei locali in cui si svolgono queste feste si inventano cose improbabili, anche d’accordo con i genitori, per rallentare il ritmo delle bevute: dicono che devono aspettare che il vino si raffreddi, o che sono andati in cantina a prenderlo… insomma espedienti per interrompere per 15-20 minuti il flusso d’alcol.
Tanti ragazzini non parlano
Lasciando da parte le feste, resta il quotidiano. La fatica del parlarsi. Pare che i ragazzini non sappiano dire le cose, anche se in questo sono in compagnia di tanti adulti. Non hanno abbastanza parole, non sanno come creare sfumature. Non sanno raccontare una storia, nemmeno la propria, non hanno idea di come descrivere a parole un’emozione. Se le emozioni non le sai descrivere, almeno a te stesso/a, non sai nemmeno comprenderle, gestirle, riconoscerle, e lavorare – se necessario – per contenerle o per andarne fiero/a. Se non sai dire di te, gli altri capiranno pochissimo; tu continuerai ad aspettarti che capiscano, ma loro non avranno gli strumenti, e questo ti ferirà. Ma anche questa emozione non la saprai leggere né comunicare.
Gli adulti non bastano
Privati del corpo, del cibo e delle parole, quei ragazzini sembrano, agli adulti, abitanti di un pianeta inaccessibile le cui logiche sfuggono a chi non ha più da un pezzo quell’età.
La buona notizia è che ci sono tanti altri ragazzini. Quelli strani. Quelli che ballano, si emozionano, chiacchierano con i coetanei e con i “grandi”, leggono libri, hanno passioni totali che vanno dalla coltivazione dell’aglio alla musica celtica; quelli che non guardano il cellulare per ore perché stanno allenandosi nel loro sport preferito, frequentano corsi di cucina, fanno splendidi graffiti, scrivono racconti, studiano le cause del cambiamento climatico, ridono come pazzi senza chiedersi se intanto il ciuffo si è spettinato o se quella lacrima che sbava il rimmel sarà poco fotogenica, sudano e pazienza se la maglietta non cade a piombo come negli spot.
Anche a loro bisogna affidare i coetanei paralizzati, denutriti e muti, sperando che trovino l’energia per sbloccarli senza farsi ferire da eventuali derisioni.
Intanto gli adulti potrebbero allenarsi a cambiare o modelli da indicare ai ragazzini. Se qualche decennio fa il ragazzino elogiato era quello che se ne stava “zitto e buono” in un angolo, ora è tempo di ammettere che non è stata una buona idea. Abbiamo bisogno di quelli svegli e partecipi, meno presi dalle proprie rappresentazioni “social” e sempre più coinvolti, invece, dalla vita vera, inclusa quella sociale, che è il posto in cui abitano “gli altri”, che sarebbero felici di incontrarli.